CONTRO LA VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA: IL RUOLO CRUCIALE DEI CENTRI ANTIVIOLENZA NEI TRIBUNALI 

Bologna, 7 marzo 2025

CONTRO LA VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA: IL RUOLO CRUCIALE DEI CENTRI ANTIVIOLENZA NEI TRIBUNALI 

In occasione dell’8 marzo il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna diffonde i dati sugli accessi ai centri relativi al 2024

Nel 2024, i Centri del Coordinamento hanno accolto 5025 donne che avevano subito violenza. Ma mentre celebriamo la forza delle migliaia di donne che hanno deciso di intraprendere un percorso di fuoriuscita, sappiamo che altre si trovano a vivere situazioni di violenza e ad essere vittime di femminicidio. 

“Lottiamo anche per loro – dichiara Laica Montanari, presidente del Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia-Romagna – e la pratica dei Centri Antiviolenza di costituirsi parte civile nei processi per femminicidio e per stupro è una parte fondamentale di questa lotta. L’anno scorso, in occasione dell’8 marzo, ci siamo trovate a dover ribadire il significato della parola femminicidio e l’importanza della costituzione di parte civile dei Centri Antiviolenza in seguito all’esclusione di UDI dal processo Amato. Purtroppo, dobbiamo constatare che nell’ultimo anno la situazione non è migliorata”. 

Nelle aule di giustizia stereotipi e pregiudizi trovano ancora oggi troppo spazio. Succede alle donne che si rivolgono a noi e che decidono di denunciare una violenza subita, e succede alle donne vittime di femminicidio, che in tribunale vengono uccise una seconda volta da sentenze inique e dal disconoscimento della violenza subita. I pregiudizi sulle donne – incentrati su una interpretazione della differenza sessuale come subalternità e sottomissione – e la cultura della violenza che portano ai femminicidi sono pervasivi e diffusi, e nonostante molte cose siano cambiate, si trovano anche in tribunale. Al punto da incidere spesso sulla formazione delle prove e sulle sentenze stesse. 

Donne che hanno rischiato o perso la loro stessa vita, chiedendo aiuto alle istituzioni per uscire da una situazione di violenza, diventano così vittime una seconda volta, a causa principalmente di procedure e approcci a volte ben lontani dalla ratio delle stesse normative esistenti, depotenziate di fatto dal prevalere di stereotipi e pregiudizi ancora assai lontani dal tramontare. È questo un fenomeno che conosciamo bene e che va sotto il nome di “vittimizzazione secondaria”. Una violenza inaspettata che può ferire profondamente e ricacciare nel silenzio a volte più delle stesse percosse o umiliazioni subite.

Proprio per questo, la costituzione di parte civile dei CAV nei processi per femminicidio e per stupro è ancora fondamentale. Prima di tutto perché svolge un ruolo di controllo rispetto al rischio di vittimizzazione secondaria, ed è una pratica di solidarietà nei confronti della donna. Ma anche perché la giurisprudenza ha un ruolo centrale nel cambiamento culturale e nella decostruzione di pregiudizi e stereotipi di genere. Riconoscere la violenza di genere nei tribunali non significa solo evitare di riprodurla, ma anche mettere le basi per contrastare e prevenire la violenza in tutta la società.  

Dentro e fuori dai tribunali, lo ribadiamo: ogni caso in cui una donna viene uccisa in quanto donna, è un femminicidio. Con questo non ci limitiamo ad indicare crimini d’odio espliciti, ma tutti quei casi in cui a creare i presupposti per la violenza è la cultura patriarcale in cui viviamo. La violenza sulle donne non ha niente a che fare con la passione o con i sentimenti. È una questione di potere. Gli uomini che uccidono le donne lo fanno per affermare il proprio potere su di lei. 

I dati dei Centri Antiviolenza del Coordinamento per il 2024

Le donne che nel 2024 si sono rivolte ai 15 Centri del Coordinamento dei Centri antiviolenza della regione Emilia-Romagna sono state complessivamente 5358. Fra di esse, 5025 donne, pari al 93,8%, è stato vittima di violenza. Delle 5025 donne accolte nel 2024 che hanno subito violenza, 3507 (69,8%) si sono rivolte a noi per la prima volta nel 2024, mentre 1518 donne (il 30,2%) erano in percorso già dagli anni precedenti. 

Rispetto al 2023, il totale delle donne accolte è aumentato del 10,4%. Un aumento che dipende solo in parte dai nuovi accessi del 2024: le donne nuove che hanno subito violenza aumentano infatti del 3,7% (+124 donne) rispetto all’anno precedente, quando erano state 3383. A determinare l’aumento complessivo sopra il 10% contribuisce quindi una maggiore durata dei percorsi, che può dipendere da diversi fattori, fra cui la vittimizzazione secondaria, che rende l fuoriuscita dalla violenza più lunga e difficile. Se l’aumento delle richieste di aiuto è quindi un segnale positivo perché corrisponde ad una maggiore emersione del problema, ad una tendenza a chiedere aiuto prima e con più frequenza, la maggiore durata dei percorsi – di cui le percentuali riportate sono un indicatore – ci parla di un problema complesso sociale e istituzionale. Oggi è più difficile di ieri trovare casa, lavoro, e anche un sostegno concreto da parte di un welfare al collasso.  

Nel 2024 le donne nuove accolte vittime di violenza provenienti da altri paesi sono state 1173, pari al 34,6%; le italiane 2220, pari al 65,4%. Una proporzione di circa una donna su tre, che si mantiene stabile nel tempo, così come quella delle donne con figli/e che nel 2024 sono state 2230, il 68,3% e specularmente quella delle donne senza figli/e, in totale 1037 il 31,7%.

Più della metà dei figli/e delle donne nuove accolte, che nel 2024 sono stati complessivamente 4064, in larga maggioranza minori, ha subito violenze dirette o assistite. Si tratta del 65,2%, ovvero di 2649 bambini e/o bambine. Una percentuale in crescita rispetto agli anni precedenti, anche a seguito della maggiore attenzione e considerazione riservata oggi alla violenza assistita, che ne facilita il riconoscimento anche da parte delle donne stesse. Erano stati infatti il 61% di tutti i figli/e delle donne nuove accolte vittime di violenza nel 2023 e il 49,8% nell’anno precedente, il 2022. 

Nel 2024 le donne nuove accolte che hanno subito violenze fisiche sono state 2097 pari al 59,7%, coloro che hanno subito violenze economiche sono state 1307 (il 37,2%), il 18% delle donne (631) ha subito violenze sessuali, mentre sono 3220 le donne hanno subito violenze psicologiche, pari al 91,75%. Percentuali che si discostano di poco, uno due punti, da quelle dell’anno precedente.

Si tratta di comportamenti violenti che si verificano prevalentemente nel contesto di una relazione intima, ad opera di partner ed ex partner, una tipologia di autore che in base ai dati epidemiologici nazionali forniti dall’ISTAT è responsabile delle violenze più gravi subite dalle donne vittime di violenza, sia per la frequenza che per la gravità dei comportamenti.

Una delle risorse più innovative che i Centri antiviolenza hanno messo e mettono a disposizione delle donne vittime di violenza che chiedono loro aiuto è la possibilità di essere ospitate in luoghi che offrono diversi gradi e livelli di protezione. Alcuni sono infatti ad indirizzo segreto e disponibili in situazioni di crisi e di emergenza; altri rappresentano risorse importanti per ritornare a vivere in libertà, perché il maltrattante non costituisce più una minaccia e con fatica e determinazione si è raggiunto un livello sufficientemente buono di autonomia economica.

Considerando qualsiasi tipo di ospitalità – da quella in strutture di emergenza a quella in case rifugio, agli alloggi di transizione e di semiautonomia – nel 2024 le donne ospitate nelle strutture dei Centri antiviolenza del Coordinamento regionale sono state complessivamente 513, i figli/e che le hanno accompagnate 451, per un totale di 964 donne e minori ospitati. Le notti di ospitalità sono state complessivamente 78.024, in media 80,9 notti per donna e/o bambino/a. 

Le trasformazioni positive degli ultimi anni, in relazione alle politiche di intervento, continuano ad essere contraddittorie e troppo spesso deludenti.  Ma sempre più donne ce la fanno, spesso grazie alla relazione con altre donne dentro e fuori le istituzioni, che noi definiamo politica, perché agita sul fronte comune della libertà e dell’autodeterminazione che non può che essere di tutte e di ciascuna. 

Referente per la stampa:

Laica Montanari Presidente del Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia Romagna

Giuditta Creazzo Coordinatrice del Gruppo Osservatorio del Coordinamento dei Centr

CHE COS’È UN FEMMINICIDIO?

18/02/2025

Il Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia-Romagna sull’esclusione dei CAV dal processo per il femminicidio di Sofia Stefani

Si è aperto ieri il processo a Giampiero Gualandi per il femminicidio di Sofia Stefani e la Corte d’Assise di Bologna sembra aver già deciso che non si è trattato di un femminicidio. Con questa motivazione, infatti, ha giustificato l’esclusione dei Centri Antiviolenza che avevano richiesto di costituirsi parte civile nel processo. Una decisione inquietante e molto preoccupante per lo stato della giustizia a Bologna e in Italia.

“Come Coordinamento dei Centri Antiviolenza – commenta la presidente del coordinamento Laica Montanari – esprimiamo profonda preoccupazione e indignazione per una decisione che ci risulta del tutto incomprensibile. La decisione di escludere le associazioni che si occupano di contrasto alla violenza non è riducibile ad un tecnicismo procedurale, ha un chiaro ed inquietante valore politico. Ci chiediamo, di fronte a questa decisione, che cosa significa femminicidio per i tribunali?”

Con il termine femminicidio facciamo riferimento a tutti quei casi in cui una donna viene uccisa in quanto donna. Con questo non ci limitiamo ad indicare crimini d’odio espliciti, ma tutti quei casi in cui a creare i presupposti per la violenza è la cultura patriarcale in cui viviamo. La violenza sulle donne non ha niente a che fare con la passione o con i sentimenti. È una questione di potere. E di questioni di potere, in questa storia, ce ne sono molte. Gualandi non era un collega – come è stato più volte erroneamente indicato – ma il capo di Sofia Stefani. All’interno di una struttura dove la gerarchia è particolarmente importante, Gualandi era il commissario capo della polizia locale, mentre Sofia Stefani era una vigilessa precaria a cui non era stato rinnovato il contratto. Gualandi ricopriva anche un ruolo nel sindacato della sua categoria, e secondo alcune ricostruzioni emerse sui giornali si era offerto di aiutarla in seguito al mancato rinnovo del contratto. Gualandi, infine, aveva il doppio degli anni di Sofia Stefani, un altro elemento che contribuisce ad aumentare l’asimmetria di potere tra i due. Sarebbe difficile parlare di relazione e non di abuso anche se questa “relazione” non si fosse conclusa con l’assassinio di Sofia Stefani. Stando a quanto riportato dal Resto del Carlino, tra l’altro, nel 2014 Gualandi era stato querelato per molestie da una collega, ma la vicenda si era risolta con il ritiro della denuncia da parte della donna.

È fondamentale che i tribunali sappiano riconoscere la violenza di genere. Per farlo, forse sarebbe utile ascoltare i Centri Antiviolenza invece di escluderli.

Referente per la stampa:

Laica Montanari, Presidente del Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia Romagna

DATI

I dati sulle donne accolte da 15 centri antiviolenza della nostra Regione sono raccolti dal Gruppo Osservatorio del Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna. more “DATI”