IL FEMMINICIDIO NON È “UMANAMENTE COMPRENSIBILE”  

Bologna, 15 gennaio 2025

IL FEMMINICIDIO NON È “UMANAMENTE COMPRENSIBILE” 

Il Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia-Romagna sulla vergognosa sentenza della Corte d’Assise di Modena

Anche le sentenze possono contribuire al cambiamento culturale contro la violenza sulle donne e ad una maggiore sensibilità al disvalore di crimini che fanno più vittime della criminalità organizzata. O possono, al contrario, giustificare questa violenza e riprodurla. È un fenomeno che conosciamo fin troppo bene e che si chiama vittimizzazione secondaria. Succede alle donne che sono sopravvissute e a quelle, come Gabriela e Renata Trandafir, che dalla violenza di genere sono state uccise. È inaccettabile leggere che la loro morte violenta sia “umanamente comprensibile”, sulla base di una sofferenza creata da “nefaste dinamiche familiari”. 

La sentenza della Corte d’Assise di Modena è motivo di preoccupazione per il Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia-Romagna, che condivide il commento delle compagne del Centro antiviolenza di Modena che si sono costituite parte civile. Ricordiamo che la Cedu ha condannato l’Italia per la resistenza di stereotipi e pregiudizi di stampo sessista e per un linguaggio che non riconosce pienamente i diritti delle donne e rappresenta le relazioni tra uomini e donne sulla base di rapporti di potere che dovrebbero essere superati. 

Nelle motivazioni della sentenza di Modena, si ravvisa, in diversi passaggi, l’adesione al punto di vista dell’autore di violenza, mentre manca la lettura dell’asimmetria di potere, fondamentale linea di distinzione tra violenza e conflitto. Non solo, ma vengono posti sullo stesso livello la vita delle donne e gli interessi economici dell’autore di violenza, un’equiparazione inaccettabile che lede la dignità delle donne vittime di femminicidio. 

Colpisce che nelle motivazioni della sentenza si spendano le stesse parole usate dall’imputato. Non solo Gabriella Trandafir e Renata Trandafir vengono definite “donne” e il loro nome scompare, ma a loro viene riferito lo status di “mantenute”. Scompare il valore economico del lavoro di cura svolto da Gabriella Trandafir, mentre il dato che l’uomo avesse duramente lavorato per costruire la casa famigliare viene ripetuto più volte. È evidente l’incapacità di leggere la violenza: in una situazione così grave da culminare in un duplice femminicidio, Gabriella Trandafir e Renata Trandafir dipendevano economicamente dall’uomo che le ha uccise, che ha utilizzato quella dipendenza in una logica ritorsiva e ricattatoria. Il dato della violenza economica dovrebbe essere un’aggravante, e invece diventa motivo di empatia con il femminicida. Anche la paura delle due donne viene negata e banalizzata: nella sentenza di parla di vaghe e generiche minacce senza mai considerare che Salvatore Montefusco fosse in possesso di numerose armi. 

“È preoccupante – dichiara Laica Montanari, presidente del Coordinamento – che in un passaggio della sentenza, si rilevi che Gabriella Trandafir fosse talmente libera da poter uscire la sera senza dare spiegazioni al punto che Salvatore Montefusco aveva dovuto mettere un GPS per sapere dove lei andasse. Ci chiediamo che concetto si coltivi della libertà delle donne nei tribunali italiani, e quale concetto si abbia del controllo maschile”. 

In un contesto di violenza la cui pericolosità è innegabile, anche visti gli esiti, Gabriella Trandafir e Renata Trandafir si erano rivolte alla giustizia per vedere riconosciuti i loro diritti, ovvero a quello stesso tribunale che ha ritenuto “umanamente comprensibile” che un uomo imbracciasse un fucile a canne mozze e le uccidesse. 

Di fronte a questa notizia alla rabbia si unisce la preoccupazione. L’impatto che una notizia di questo tipo può avere su una donna che si trova a vivere una situazione di violenza è devastante. Consapevoli di questo, ci teniamo a ribadire: non siete sole! Iniziare un percorso di fuoriuscita dalla violenza con un centro antiviolenza significa avere il supporto di avvocate e operatrici, anche qualora la violenza si riaffacci laddove non dovrebbe avere spazio, come nelle aule di un tribunale.

Referente per la stampa:

Laica Montanari Presidente del Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia Romagna

DIMINUISCE LA DURATA DELLE VIOLENZE: È GRAZIE A QUELLA CHE IL MINISTRO ALLA PUBBLICA ISTRUZIONE HA DEFINITO LA “VISIONE IDEOLOGICA” DEI CENTRI ANTIVIOLENZA

In occasione del 25 novembre il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna diffonde una valutazione dei dati parziali al 31 ottobre

Le donne restano meno tempo in una relazione violenta. È quanto emerge dalla raccolta dati dei Centri antiviolenza.  Dal 2000 a oggi, le violenze della durata di sei anni o più sono diminuite del 10%: dal 51% al 40% dei casi. Nello stesso tempo, sono aumentate le richieste di aiuto delle donne che riportano di subire violenza da meno di un anno. Dal 2000 al 2024 l’aumento è dal 20% al 36%. Le donne riconoscono la violenza in tempi più brevi e interrompono più velocemente il ciclo della violenza: questo è il risultato del lavoro sul territorio portato avanti dai Centri Antiviolenza, non solo nell’accoglienza diretta ma anche a livello sociale e culturale.

Dopo le dichiarazioni del ministro della Pubblica Istruzione, nel giorno della presentazione della Fondazione Cecchettin, alla Camera, supportate dalla Presidente del Consiglio, dobbiamo prendere atto che è in corso un tentativo di strumentalizzare il fenomeno della violenza maschile a vantaggio della propaganda sull’allarme immigrazione. Nello stesso tempo, la negazione della matrice culturale della violenza maschile, alimentata da una storica asimmetria di potere tra uomini e donne, rivela una precisa strategia politica, di non contrastare quelle disparità, di non intervenire per sradicare pregiudizi e stereotipi. Del resto, le politiche familistiche del Governo Meloni, il controllo sui corpi delle donne con l’ingresso dei cosiddetti prolife nei consultori, manifestano l’adesione ideologica alla subalternità delle donne.  Ricondurre il femminicidio commesso da italiani, come ha fatto il ministro, a residui di maschilismo, vuol dire minimizzare un fenomeno che è strutturale. Patologizzarlo come disturbo narcisistico, vuol dire connotarlo come un problema individuale che riguarda la sanità, invece è un problema sociale e politico.  Che il patriarcato e la violenza contro le donne continuino a esistere nonostante l’aggiornamento del diritto di famiglia del 1975, ce lo raccontano le decine di migliaia di donne che abbiamo accolto negli ultimi vent’anni.

I dati sugli autori della violenza raccolti dai nostri Centri nel 2024 ci dicono che nel 62,3% dei casi ad agire la violenza è stato il partner della donna. Nel 15,9% l’ex-partner, e nel 10% un familiare. I casi di violenze agite da sconosciuti (a prescindere dal loro stato di cittadinanza) sono inferiori al 2%. Non raccogliamo il dato sui “fenomeni di violenza sessuale legati a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”, ma se ci fosse un modo di farlo, costituirebbero una minima parte di questo già poco rilevante 2% dei casi.

I dati dei centri del Coordinamento nel 2024 (aggiornati al 31 ottobre)

Le donne che si sono rivolte ai 15 Centri antiviolenza del Coordinamento sono state complessivamente 4735. Fra di esse, le vittime di violenza sono state 4467, pari al 94,3%. Sono state 2952, coloro che per la prima volta, nel periodo indicato, si sono rivolte ad un Centro antiviolenza, pari al 65,5%, mentre le donne in percorso da anni precedenti, sono state in totale 1542, il 34,5%. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente,  si è verificato un aumento di +11,5 punti percentuali (+460 donne). Nel 2023, erano state infatti 4007 le donne accolte che avevano subito violenza, un aumento che riguarda sia le donne nuove che le donne in percorso da anni precedenti.

Tende quindi a stabilizzarsi il trend positivo di crescita delle richieste di aiuto delle donne vittime di violenza ai Centri antiviolenza del Coordinamento regionale, confermando il processo di emersione in atto del fenomeno. Sappiamo, infatti, che le donne accolte dai Centri antiviolenza rappresentano solo la punta di un iceberg, che i dati dell’ISTAT del 2015 attestano intorno al 4,9%, di tutte coloro che hanno subito violenza. Rispetto al bisogno di aiuto delle donne, i Centri antiviolenza andrebbero sostenuti e potenziati perché sono una risorsa fondamentale.

Considerando solo le donne nuove che hanno subito violenza, quelle nate in Italia nel 2024 sono state 1810 e risultano pari al 64,5%; le donne provenienti da altri paesi sono state 996 e rappresentano il 35,5% delle donne nuove accolte che hanno subito violenza. Le donne con figli/e sono state 1832, pari al 68,1%; le donne senza figli/e 860, il 31,9%. Sono dati che si discostano di poco – diminuiscono di 2 punti percentuali le donne con figli/e – rispetto a quanto rilevato nel corso dello scorso anno.

Dal 1 gennaio al 31 ottobre 2024, i figli/e che hanno subito violenza diretta o assistita sono stati 2049, pari al 62,1% di tutti i/le figli/e delle donne accolte, in totale 3297. Un dato che registra un aumento di 10 punti percentuali rispetto al 2023, nel 2023 infatti i figli/e delle donne accolte vittime dirette o indirette di violenza sono stati 1566, pari al 52%.

Per quanto riguarda le tipologie di violenza subita, spesso plurime e contestuali, nell’arco di tempo considerato le donne che hanno subito violenza fisica sono state il 58,4% di tutte le donne accolte; coloro che hanno subito violenza economica sono state il 35,4%; le donne che hanno subito violenza sessuale il 17,4%; le donne che hanno subito violenza psicologica il 90,4%. Rispetto al 2023 si è verificata una leggera diminuzione di tutte le tipologie di violenza (-2 punti percentuali) subite dalle donne accolte, fatta eccezione per la violenza psicologica che è aumentata di 3 punti percentuali.

Considerando ogni tipo di ospitalità, anche le ospitalità in emergenza, presso strutture autogestite dai Centri o in convenzione e le ospitalità in semiautonomia, le donne ospitate dal 1° gennaio al 31 ottobre 2024 sono state 456. Il 52,5% (239 donne) è stato ospitato con i figli/e, il 47,6% (217 donne) senza figli/e. I figli/e ospitati sono stati 389 per un totale di 845 donne e/o bambine/i ospitati. Le notti di ospitalità sono state complessivamente 72.699, in media 86 notti per donna e/o figlio/a ospitata/o. Coloro che sono state ospitate in una situazione di emergenza sono state 266, pari al 58,3% di tutte le donne ospitate.

Referente per la stampa:

Laica Montanari, Presidente del Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia Romagna

Giuditta Creazzo, Coordinatrice del Gruppo Osservatorio del Coordinamento dei Centri

Dati

I dati sulle donne accolte da 15 centri antiviolenza della nostra Regione sono raccolti dal Gruppo Osservatorio del Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna. more “Dati”